23 – 25 ottobre 2019
L’incontro con l’Istituto Mattei di Maglie
È una calda mattina di fine ottobre, il termometro fisso su temperature più consone a Giugno, il mare sbrilluccica all’orizzonte, così placido che si vedono le correnti che lo attraversano. Il sole sparge grazia mentre accogliamo la classe dell’Istituto Mattei di Maglie.
‘Per favore fate una foto di qualcosa che vi colpisce e fateci, se volete, una ‘storia’ su Instagram o Facebook’, dice Yann. Lui e Viva sono i facilitatori che guideranno i ragazzi verso una visita più partecipata e consapevole,
Ora toglietevi le scarpe ed entriamo dentro, fa Viva.
I ragazzi sorridono e tentennano. Vorrebbero ignorare l’invito. Forse hanno paura che i loro umori, quelli dei loro calzini, compromettano la qualità dell’aria?
‘Allora, ragazzi, dobbiamo cominciare, vi dovete cacciare ste scarpe!’
La voce perentoria è di Roberta, una ragazza minuta, col corpo efficace e nervoso di chi lavora muovendosi. Non c’era alla cena di benvenuto a Karadrà, la cooperativa agricola di Aradeo. Ma è venuta oggi ed è qui per fare business.
Roberta è scura, di occhio fervido e grintoso, capelli corvini, magliettina rosa che terrà anche quando la frescura peninsulare avvolgerà la corte aperta in Via Ovidio a Tiggiano, dove è fissato l’incontro serale con la cittadinanza.
C’è una ragazza che si libera delle scarpe per ultima, Roberta la fulmina con lo sguardo:
Come hai fatto a essere ultima? Hai i sandali!
Una volta dentro, Il gruppo, più ragazze che ragazzi, fanno un po’ di riscaldamento camminando a occhi chiusi, mentre col si toccano i piedi gli uni degli altri. PoiIan e Viva danno loro dei bigliettini con il nome di un animale che i ragazzi devono personificare con versi, esibizione di zanne e lamenti vari. Un circo, signori, un circo.
Cooperativa Agricola Karadrà
Sono loro i nostri primi graditi ospiti di questa edizione della Gallery! Per la cena di benvenuto arrivano Massimo e Piero con le rispettive consorti, con in mano un graditissimo dono, un cesto con alcuni prodotti della cooperativa: lenticchie, ceci e il pomodoro di Aradeo, meglio conosciuto come pomodoro invernale o de pennula, appesi in una bella e originalissima confezione di cartone che li rende ancora più belli e preziosi!
Cos’è Karadrà? È il nome antico di Aradeo. Significa terra depressa in Griko, cioè sottoposta, dove confluivano le acque. Più tardi i religiosi sostenevano che il nome venisse da Ara Dei, altare di Dio. Ognuno la gira un po’ come vuole.
Accanto a Roberta c’è Massimo, virtualmente il suo opposto, più pacato e cauto, dal follicolo rosso, occhio ceruleo e pelle chiara, un viso da nobile con cappellino e barbetta. Voci di corridoio lo indicano come l’artista del gruppo: pittore, scultore e arredatore di paesaggi. Nonché agricoltore.
Sono loro gli inviati della cooperativa che annovera anche Piero, un uomo alto e magro dai capelli lunghissimi, e Roberto: lui non si è visto neanche alla cena, ma i ben informati dicono essere il ‘praticone’ del gruppo.
Accomodata su i tappeti e i cuscini di Celacanto si è creata una piccola assemblea.
‘Ora vi dico come è iniziata’, fa Roberta. ‘Circa quattro anni fa, poco prima che fondassimo Karadrà, c’erano continue proteste e manifestazioni per la questione Xylella. E abbiamo pensato: va bene protestare ma chi è che fa qualcosa?’
‘Esatto’, interviene Massimo, ‘Qui le piazze sono piene e le terre sono vuote. La gente che manifestava nelle piazze non era altrettanto solerte quando si trattava di praticare. È un difetto del nostro tempo che si parla troppo laddove si dovrebbe agire’.
È così che loro hanno deciso di agire, recuperando terreni abbandonati per un totale di circa cinque ettari in gestione permanente e altri in gestione stagionale.
Ed è un fatto su cui vale la pena riflettere, dice Roberta, anche perché le nostre zone hanno un grosso problema di spopolamento.
Ian e Viva distribuiscono fogli e penne per discutere delle idee sollevate dai Karadrà Brothers.
Né Massimo né Roberta sapevano come si fa questo mestiere e hanno imparato facendolo.
Roberta ha una formazione da esperta di organizzazione e governo e nella sua vita precedente analizzava l’andamento delle elezioni per un’agenzia in Emilia Romagna. Si vede che una formazione teorica da paura, mette insieme concetti di economia e sociologia come niente fosse, in una lingua intrisa di storia, affilata dalla sapienza del lavoro nei campi, e probabilmente dalla famiglia.
Piero, invece, continua a girare il mondo come tour manager del pianista Ludovico Einaudi, ma quando è qui lo si trova in giro per i campi.
In mezzo a ogni gruppo Ian e Viva mettono la pigna della parola: chi vuole parlare deve prendere la pigna e stringerla. Mentre gli altri ascoltano in silenzio. Il segreto è dare voce a tutti.
Il temerario che prende la parola è tale Micocci. Secondo lui bisognerebbe tornare alla terra perché può essere un’attività redditizia e l’autoproduzione garantisce dei prodotti di qualità. Creare le cooperative permette di andare in quella direzione.
Ma Fatima non è d’accordo. Pensa che se la gente abbandona i campi un motivo valido ci sarà, dopo tutto. È chiaro che investire nei terreni è oneroso e molti preferiscono andare via per trovare un lavoro.
Sono spunti interessanti, dice Roberta. Secondo lei, in tutto questo ci sono anche delle colpe.
Ci parla della scelta di rendere il Nord industriale per la sua vicinanza ad altri paesi europei, mentre al Sud non si sono fatte le opere per cementificare i suoi legami col Mediterraneo. In Salento, inoltre, non è mai arrivata la riforma agraria, la redistribuzione della terra dai grandi ai piccoli proprietari non è mai avvenuta. Lo Stato si è solo interessato di bonificare le zone paludose.
È così che i grandi proprietari sono rimasti tali, ma le piccole proprietà hanno subìto una parcellizzazione estrema nella trasmissione dai genitori ai figli.
Ma farcela da soli non è pensabile. Per questo creare una cooperativa è una delle vie possibili. Non solo per noi ma per le generazioni future, dice Roberta.
In una cooperativa ogni testa ha diritto di voto, al di là di quanto investa all’inizio. Si discute sempre per raggiungere una decisione. E poi ci siamo dati uno Statuto, nel quale abbiamo inserito persino l’educazione dei figli dei soci e l’assistenza sanitaria.
Se tutti sanno che l’articolo 4 della costituzione italiana dice: ‘Che l’Italia è un paese che si basa sul lavoro’, spiega Roberta, cioè che il lavoro è un diritto, pochi si soffermano sulla seconda parte dell’articolo che dice che il lavoro è un dovere e deve seguire lo sviluppo morale di una nazione.
Per Karadrà, il lavoro non è un fatto privato, ma ha sempre un senso per la collettività nella misura in cui interviene nel mondo.
Non è nostra intenzione prendercela con chi protesta, dice Massimo. Ma noi abbiamo pensato di fare la nostra parte andando in campagna e cercando di lavorare.
La prima azione di Karadrà è stata quella di ricucire la terra: abbiamo riunito 79 particelle, 15 proprietari, e stilato fino a 15 contratti di affitto e comodato.
Per farlo hanno parlato con le persone: quella che si chiama ora intermediazione culturale. In alcuni casi hanno fatto sedere allo stesso tavolo parenti che non si parlavano da anni.
Naturalmente i problemi ereditati con i terreni sono stati tanti: quello dei rifiuti, per esempio, e poi i furti, la distruzione dei canali e dell’habitat di molta fauna locale.
Una visione di bellezza
Massimo ha portato le sue scarpe anti-infortunio. Non sono più le stesse. Le ha stratificate col colore ad olio. Sono rosse e sembrano di cera lacca, anche se più di una volta gli hanno salvato i piedi.
Come ho stratificato queste scarpe, dice Massimo, così nella vita si deve stratificare l’esperienza. E ogni piccolo pezzetto servirà in futuro.
L’ arte serve per avere una visione un po’ più lunga. Ma senza produzione non c’è vita, non c’è guadagno.
La prima produzione di Karadrà è legata all’olio, ma ora producono legumi, ortaggi, e soprattutto il pomodoro d’inverno. La pennula. Un varietà di pomodoro che non richiede irrigazione, se non alla piantumazione, e che si può mangiare per mesi dopo il raccolto. Ideale dove d’acqua ce n’è poca.
La nostra, conclude Roberta, è una scelta di vita: coltivare la terra in maniera rigenerativa. Perché ridare vita al nostro habitat significa ridare vita a noi stessi.
È ora dei saluti. Il sole è verticale sulle nostre teste quando vediamo arrivare la corriera dei ragazzi. Li rivedremo presto.
Un abitare solidale e comunitario: Il sistema delle corti
Nel pomeriggio a Tiggiano, Rino e i colleghi architetti di Città Città Fertile hanno parlato dell’abitare che torni a unire la sfera pubblica e la sfera privata.
Abbiamo visitato le bellissime corti nel centro storico di Tiggiano, capendone identità e segreti. Purtroppo molte sono ora abbandonate ma si cerchierà di recuperarle e rigenerarle, anche per opporsi allo spopolamento dei nostri piccoli paesi.
Il sistema della corte è interessante perché lo spazio pubblico e privato non sono separati da una linea netta.
Nell’abitare moderno e contemporaneo: esiste il limite netto tra pubblico e privato dove ci si preoccupa al massimo del privato e si trascura il pubblico.
La corte è un sistema di prossimità e reciprocità, un microcosmo di economia e scambi che in passato costruiva lo spazio della comunità. Come si può tornare o ritrovare quella soluzione? La corte declinava l’ottimo sistema delle soglie a scalare dove si andava gradualmente dallo spazio pubblico della strada allo spazio semi-privato della corte, al privato della casa. Ma poi anche all’interno della casa ci sono piccole soglie fino allo spazio più intimo di tutti: la camera da letto.
Il sistema delle corti come abitare di qualità, quindi.
Massimo e Roberta di Società Cooperativa Agricola Karadrà hanno dato un contributo anche sulla questione dell’abitare e del paesaggio agricoli.
Noi ci troviamo in mezzo a due canali, dice Massimo, e abbiamo accorpato i vari terreni per mantenere lo spazio fruibile alla vista. Non si vive di solo cibo ma anche di visione.
C’è chi brucia le canne del canale, c’è chi affossa il canale per garantirsi un passaggio, c’è chi getta rifiuti.
Sarebbe bello porre l’attenzione anche sul paesaggio. C’è una tendenza ad alzare muri. Invece bisogna lasciare le condizioni che costituiscono l’habitat anche di specie animali.
‘È vero, dice Roberta, ora nei piani regolatori decidiamo su quali terre bisogna costruire. Dimenticando che le terre sono lì da millenni devono essere lasciate alle generazioni future.
La terra dovrebbe essere assegnata in base all’uso che se ne fa. Siamo dell’idea che la proprietà privata vada rivista’.
La campagna è un concetto che sta sparendo. Il rapporto del cibo sta sperando. Per esempio, abbiamo perso la conoscenza delle erbe spontanee. E poi bisogna combattere il consumo del suolo.
Karadrà è contro una visione antropocentrica della terra. Vedono l’uomo come una delle specie animali presenti. Una visione che fa a meno del concetto sociale di collettività che mette gli esseri umani all’apice della piramide a dispetto di tutte le altre specie.
Abitare la campagna senza avere una funzionalità agricola è uno dei drammi dello nostro tempo, continua Rino. È una esternalità negativa. È inutile abitare isolati in campagna.
Utilissimo, infine, il contributo degli amici di Zoom Culture che ci hanno spiegato visivamente il funzionamento del sistema delle corti e proposto una carrellata di interventi sugli elementi architettonici dei centri storici salentini, per dare il via all’interessante dibattito fra i presenti.
La sperimentazione di un “patto di corte” è la proposta che emerge da questo primo appuntamento della nostra Gallery.
🙂
Gallery: un osservatorio partecipante – Sintesi del progetto
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Progetto Gallery: un osservatorio partecipante – avviso pubblico Puglia Partecipa – scadenza gennaio 2019 – Legge Regionale sulla partecipazione N. 28 del 13 luglio 2017.
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