Patti di filiera: strumento di rigenerazione delle aree agricole
Un incontro partecipato per diffondere e proporre alla cittadinanza l’idea dei patti di filiera cerealicoli, strumento per tornare a produrre con metodi sostenibili, per rigenerare la bellezza del Sud Salento e creare una filiera del lavoro etica.
Associazione Partner
Associazione ospite
Data: Sabato 9 novembre 2019 ore 17.30
Luogo: Ex Scuola Elementare, Castiglione d’Otranto (LE)
Area tematica: Territorio, bellezza e paesaggio
Casa delle Agriculture Tullia e Gino si occupa da tempo di agricoltura sostenibile avviando progetti il cui scopo è quello di dare nuova vita ai terreni abbandonati, rinsaldando i legami comunitari ed economici locali. La tematica che si intende sviscerare durante l’incontro riguarda la possibilità di rigenerare il paesaggio agricolo locale mediante l’attivazione di contratti di filiera cerealicoli.
Salento Km0, animerà l’incontro partecipato con il significativo percorso di tutela legato alla biodiversità e alla produzione agricola sostenibile. Quest’ultimo ha dato vita alla rete di produttori locali diffusa nel territorio salentino, riuscendo così a rigenerare l’economia agricola dei piccoli artigiani agricoli.
Contesto tematico
Da almeno un ventennio associazioni, comitati e movimenti di cittadini propongono, nel dibattito pubblico sul futuro del territorio salentino, istanze di cambiamento delle politiche di pianificazione del territorio in chiave sostenibile. Non si tratta di una presa di posizione puramente ideologica, in cui si difende l’ambiente come entità astratta e scollegata dagli umani interessi e dalla pubblica utilità.
Al contrario, queste azioni sono sempre state supportate da una visione di sviluppo del territorio dalla quale emergono i settori economici da riconvertire, sviluppare e potenziare, primi fra tutti quello dell’agricoltura naturale con la variegata filiera agro-alimentare che ne deriva, e quello del turismo di qualità. Si propone così di conciliare una ormai vitale ripresa economica con una altrettanto vitale bonifica e salvaguardia ambientale, oggi più che mai necessaria alla luce dei dati sulla salute pubblica, dai quali emerge un incremento delle malattie gravi riconducibili a fattori di inquinamento ambientale.
Negli ultimi anni si è andata sempre più consolidando l’idea che un ritorno alle tecniche di coltivazione della terra che non fanno uso di chimica inquinante e, in molti casi, dannosa per la salute, fosse la strada da percorrere per assecondare questa visione di sviluppo socio-economico. È nata così una costellazione di piccole realtà agricole principalmente condotte da giovani che, in controtendenza con quanto normalmente accade, hanno scelto di restare in questi territori investendo sull’agricoltura come opportunità di lavoro.
La rete Salento Km0 è senz’altro il principale esempio di questo fenomeno virtuoso. Il suo percorso di tutela legato alla biodiversità e alla produzione agricola sostenibile contraddistingue la sua ragion d’essere, avvalorata dalle sue numerose collaborazioni con l’Ente Parco Otranto S. M. di Leuca e Bosco di Tricase. Intorno a questa realtà, in cui confluiscono oltre cinquanta produttori che utilizzano tecniche di coltivazione naturale, si è pian piano attivata una micro-esperienza di economia solidale a sostegno di questo processo. Sono nati, quindi. tanti mercatini diffusi sul territorio provinciale, promossi da amministrazioni comunali e da associazioni, che fungono da luogo d’incontro e contaminazione, nei quali il consumatore finale entra in relazione diretta con i produttori della rete.
In questo contesto generale gioca un ruolo fondamentale il piccolo centro di Castiglione d’Otranto, dove opera una delle comunità più attive nel processo di promozione di questa visione di sviluppo. Qui si organizza da anni la Notte Verde, appuntamento pensato per la disseminazione dei concetti alla base di questa concezione. Questo percorso ha favorito la nascita di una nuova società agricola cooperativa, gemmata dall’omonima associazione Casa delle Agriculture, allo scopo di gestire un Mulino di comunità, attraverso il quale si vuole chiudere in modo qualitativamente elevato il ciclo produttivo di una filiera di antiche varietà cerealicole coltivate localmente in maniera sostenibile.
Lo strumento dei patti di filiera proposti da Casa delle Agriculture è pensato sia per allargare e consolidare la filiera economica sostenibile attivata attraverso il mulino di comunità, sia per promuovere un’azione di ripopolamento e cura del paesaggio agricolo attraverso la coltivazione della terra, in perfetta sintonia con l’approccio propositivo che caratterizza questa diffusa rivoluzione green made in Salento.
Sintesi dell’incontro
L’incontro si svolge in una delle aule della ex scuola elementare di Castiglione; la partecipazione è molto numerosa, c’è un’atmosfera di grande attesa e aspettativa.
Nella presentazione del tema dell’incontro si evidenzia come primo elemento la volontà di parlare di patti e non semplicemente di contratti; si ribadisce l’importanza di stimolare un’azione che coinvolga l’intera comunità e non solo gli attori direttamente interessati.
L’intento è costruire una identità comune basata sulla tutela ambientale e sulla scelta “radicale” dell’agricoltura sostenibile: costruire, quindi, una filiera locale dei cereali garantendo la sostenibilità dell’agricoltura ma soprattutto la dignità dei contadini. Il mulino, attivo solo da pochi mesi, non è in grado di produrre frumento per tutti gli attori della catena e di rispondere a richieste di questo piccolo mercato in crescita. La Cooperativa Casa delle Agriculture potrebbe rispondere con la sua propria identità a questa crescente domanda, ma, come già detto, la decisione è quella di non rispondere in maniera singola, ma proporre la costruzione di un’identità comune, un’identità che non badi solo alla conservazione del proprio marchio.
Con queste premesse, il vero tema dell’incontro non è la sottoscrizione di un patto di filiera precostituito, semmai la costruzione di un patto di filiera condiviso. La bozza del patto che viene sottoposta all’attenzione dei presenti, nei suoi tratti essenziali, si basa sui seguenti elementi:
1) L’impegno del Coltivatore a produrre e vendere alla Cooperativa le quantità di frumento annualmente concordate.
2) Produrre il frumento con metodi di coltivazione sostenibili seguendo un preciso disciplinare di produzione, consentendo alla Cooperativa verifiche documentali sulla tracciabilità del prodotto, oltre a monitoraggi, visite ed analisi dei terreni utilizzati.
3) A fronte di questi impegni, la Cooperativa rende già noto in partenza il prezzo riconosciuto al Coltivatore per quintale di prodotto venduto.
Il disciplinare di produzione proposto si articola nei sei punti qui sinteticamente riportati:
– Adottare un piano di rotazione minimo triennale con almeno due colture diverse nel triennio.
– Vietare l’utilizzo di prodotti chimici; è permesso solo lo sfalcio dopo la fioritura.
– Vietare l’uso del glifosato.
– Vietare l’uso di ogm.
– Vietare l’uso di prodotti di sintesi chimica per il trattamento del seme.
– Per la conservazione del grano utilizzare prodotti consentiti in agricoltura biologica.
Al patto di filiera si aderisce se si comprende l’importanza di questi 6 punti, perché si tratta di punti qualificanti che consentono di costruire e mantenere nel tempo quell’identità agricola del territorio di cui si parlava in premessa. Il Disciplinare di produzione è pensato per assicurare la sostenibilità dei processi produttivi, garantendo genuinità e qualità del prodotto e, parallelamente, la cura e la salvaguardia del territorio e dell’ambiente. Ed è questo l’elemento centrale da approfondire negli incontri successivi, per decidere quale sia la strada migliore da intraprendere per una riconversione in chiave sostenibile del territorio e delle produzioni cerealicole legate al patto. La strada tracciata è quella di individuare un ente certificatore terzo (ad es. l’Università) che funga da garante per la corretta applicazione del disciplinare di produzione, a partire dalle pratiche di preparazione del terreno. La coop. Casa delle Agriculture mette a disposizione del percorso il contatto e i consigli di Giovanni Girolomoni, l’erede della prima e più importante esperienza italiana di agricoltura biologica, che nelle Marche ha dato vita da diverso tempo ad un patto di filiera dei cereali.
In tutti gli interventi dei presenti si rileva una forte disponibilità ad assecondare la visione di un’identità sostenibile del territorio. Si ribadisce la necessità di salvaguardare la salute pubblica con la messa al bando di sostanze chimiche inquinanti e attraverso la produzione di cibo sano e naturale – elementi sottolineati con forza anche dal Sindaco e dall’assessore del Comune di Andrano, presenti all’incontro. L’altro tema evidenziato è quello di offrire una reale prospettiva occupazionale al mondo giovanile per invertire la tendenza all’abbandono dei territori e garantire una restanza dignitosa sul piano socio-economico anche nei nostri piccoli centri del sud.
Il solco è tracciato, il patto di filiera proposto è uno strumento per procedere concretamente nella direzione intrapresa. Lo sforzo da qui in avanti sarà quello di far radicare ancora di più il concetto di biologico/naturale nel sistema territorio. Bisognerà lavorare da un lato per sciogliere tutti i nodi tecnici legati alla produzione naturale di frumento nei nostri territori, dall’altro alla realizzazione di campagne di comunicazione sociale che coinvolgano l’intera comunità nel processo di formazione di un’identità comune della sostenibilità ambientale, agricola ed alimentare.
Conclusioni e proposte
Comitato di garanzia certificatore istituzionale
Chiedere alle istituzioni Comunali di costituire un Comitato di garanzia, con il coinvolgimento dell’Università, per le analisi dei terreni interessati dai patti e per la certificazione dei procedimenti produttivi messi in campo dagli aderenti al patto di filiera.
Forniture alimentari nelle mense scolastiche
Chiedere ai Comuni di favorire l’acquisto dei prodotti di filiera nelle mense scolastiche.
Compost per il patto
Favorire l’installazione di compostiere di comunità per la produzione di compost da utilizzare nei terreni destinati al patto per incentivare le politiche del recupero.
Pane del parco IGP
Chiedere ai comuni del parco e allo stesso Ente Parco di promuovere un Pane del Parco sulla falsa riga dell’esperienza del pane IGP delle Langhe.
Analisi dell’incontro
Curata dal Dott. Giuseppe Gaballo – Ricercatore Università del Salento Dip. di Storia Società e Studi sull’Uomo sulla base della registrazione audio degli interventi
Quarto incontro. Rigenerare le aree agricole: i patti di filiera.
L’incontro comincia con qualche idea piuttosto chiara, che verrà pienamente concretizzata nel prosieguo. Si parla di come a Castiglione (fraz. di Andrano) sia stato possibile realizzare un mulino di comunità e la parola magica è “filiera”. Essa include un patto vero e proprio e come tale basato certamente sulla fiducia, ma questa dipende dalla conoscenza di tutti i luoghi e di tutti gli attori che prendono parte all’attività di produzione-trasformazione-commercializzazione del prodotto.
Questo incontro si presenta piuttosto interessante, perché è connotato da un’esperienza che chiama in causa molteplici attori, una revisione in chiave moderna del mondo rurale; valori come fiducia e conoscenza reciproca, che a loro volta includono capacità di argomentazione, di incontro e quindi di collaborazione tra prospettive, che possono essere diverse in certi momenti e per specifici problemi, che emergono nel cammino economico di tutti i soggetti coinvolti. Il mulino in questa esperienza non è solo uno strumento per l’inizio della trasformazione di una materia prima, ma anzi costituisce un hub attorno al quale si coagulano le speranze, le idee, le capacità, le competenze e la voglia/forza di reagire da parte di un territorio intercomunale. Infine, già dall’introduzione emerge un altro elemento da considerare: non c’è sempre bisogno di inventarsi e inventare soluzioni, perché è spesso sufficiente guardarsi attorno e vedere cosa hanno fatto gli altri. Questo significa mettersi in discussione – fattore cognitivo e morale importante per crescere – e relazionarsi con chi ha già avviato qualcosa di importante, così uscendo dal provincialismo del proprio vissuto prossimo.
Da parte dei rappresentanti di “Coppulatisa” c’è un ulteriore salto di qualità nella presentazione del progetto. Si parla di formazione e autoformazione per una partecipazione produttiva, di dare continuità e osservare le relazioni e le dinamiche tra gli attori per migliorare la sinergia, perché occorre concretizzare le osservazioni. La continuità deve essere lungimirante: non solo continuare a dialogare e progettare tra soggetti già attivi, ma guardare e coinvolgere le nuove generazioni, trasmettendo loro le esperienze. Questo accenno alla formazione, da una parte, e al coinvolgimento, dall’altra, è fondamentale e coglie uno dei punti di valorizzazione e valutazione di ogni progetto: la sostenibilità, che non significa solo continuità tra i soggetti che hanno preso parte al progetto medesimo, ma trasferire il tutto, educando i più giovani.
È da decenni che si assiste a una alienazione intergenerazionale, a causa della quale non c’è più dialogo e conoscenza tra adulti e ragazzi. Un tempo il lavoro e la lotta per la sopravvivenza costituivano un collante, perché i più grandi, insegnando un mestiere ai più piccoli, trasmettevano anche sapere e valori di vita quotidiana. Oggi è vero che molti figli si trovano a fare il lavoro dei padri, ma è diventata una costrizione legata alla sopravvivenza per un mercato del lavoro al collasso; non è come nelle società a organizzazione pre-moderna, perché la trasmissione di una professione tra generazioni attualmente si traduce solo nella mera opportunità materiale, che non include aspetti morali e saggezza di vita.
Insomma, questo incontro si presenta altamente educativo sin dai primi minuti. Dalle battute successive si comprende che il mulino di Castiglione ha rappresentato una scelta di territorio, un vero e proprio processo bottom up. Si chiarisce la doppia mission: non solo produrre e creare reddito, ma coltivare la tutela ambientale attraverso un disciplinare di produzione da far rispettare a tutti gli attori coinvolti.
Molto concreta anche la rappresentante della cooperativa Karadrà, che non va per il sottile. Sottolinea infatti fin da subito il grosso investimento affrontato per metter su una cooperativa che si occupa ora di agricoltura alternativa nei modi e nelle finalità. Mette in evidenza, elogiando, i giovani che sono riusciti con il mulino a creare una domanda, che forse era sopita e invece è riemersa in molta parte del territorio del sud Salento. Occorre insomma non scadere nelle coltivazioni classiche ma osare con prodotti “nuovi” per creare nuove esigenze o far rinascere quelle vecchie.
Una rappresentante di Casa dell’Agricoltura (CA) ricorda la battaglia per un’agricoltura senza pesticidi (dal 2013). Invita a non sottovalutare il lato economico della produzione e non solo quello etico. Si parla della quotazione del grano che si stabilisce a Bologna e della sfida accettata con una produzione bassa. Perciò hanno scelto il patto di filiera. Il passaggio discorsivo è purtroppo rapido e non chiaro, pur toccando la chiave del successo sociale ed economico della strategia.
Si dà spesso per scontato che tutti comprendano, invece occorre essere più accorti soprattutto quando si parla di questioni tecniche e di calcoli economici. Se si vuol fare rete, si devono stabilire regole di reciproca comprensione, perché su questa si può costruire una forma sociale solida.
Interessante è l’intervento di un uomo, che precisa come il patto non riguardi solo gli attori economici produttivi, ma anche quelli legati alla commercializzazione e i consumatori, che sono poi gli attori finali. Aumentare l’ampiezza dei soggetti interessati significa abbassare i costi di trasporto e così dei prezzi. Insomma, si entra con quest’incontro nel concreto – al di là di alcuni passaggi tecnici poco comprensibili – del vissuto produttivo e associativo. Si ha bisogno, secondo il discorso di un intervenuto, di creare non solo domanda, ma di una strategia per crearla differente almeno nei contenuti oltre che nelle finalità: un po’ come ha sempre fatto il capitalismo, puntando molto sui bambini per “addomesticarli” a qualsiasi prodotto, così il patto di filiera deve puntare sulle giovani generazioni in chiave educativa; l’educazione ha un doppio fine: la salute personale attraverso l’alimentazione e la salute del territorio sviluppando solidarietà sociale (spirito di comunità) ed economica (consumare prodotti della propria zona).
La concretezza degli interventi prosegue sulla questione dell’acquisto del seme. Tuttavia, non sempre si è in linea con il tema dell’incontro, soprattutto quando si entra nei tecnicismi economici. Interessante è l’indicazione del marketing costruito attraverso un “marchio del mulino”, che ogni esercizio commerciale possiede, una volta acquistato il prodotto dagli attori legati dal patto di filiera. È bene che i clienti di fatto e quelli possibili possano identificare la presenza sul territorio dei prodotti provenienti dalla realtà economica che vive attorno al mulino. Una sorta di promozione etnobotanica della produzione territoriale, cosicché un intero territorio possa riconoscersi e consumare quanto esso stesso produce. Sono state menzionate anche le strategie perché il marchio non sia sfruttato in modo fraudolento.
L’incontro è stato abbastanza chiaro, sicuramente formativo e ciò in due sensi: si sono specificate le questioni tecniche attraverso cui si è potuto realizzare concretamente una complessa realtà economica; si è fatto capire, anche se non del tutto – e sarà necessario un approfondimento sociologico – la necessaria partecipazione di una buona parte del territorio, perché questo tipo di economia ha bisogno di molteplici attori che si stringono attorno a un patto di interesse e di vera e propria solidarietà. Ciò dignifica che attorno al mulino si è realizzata un’azione non meramente economica, certamente sociale, ma ancor più politica, perché si tratta di una organizzazione dal basso sulla base di valori che non sono soltanto quelli materiali, legati al guadagno e alla sopravvivenza, quanto la valorizzazione di un’identità comunitaria legata alla terra e al modo di viverla, resistendo alle spinte disgregatrici di certa globalizzazione.
Un anziano insiste concretamente sulla realizzazione dell’identità nella biodiversità: la domanda provocatoria è che non si è approfondito il tema della preparazione del terreno e della coltivazione. Questo intervento è segno di grande dialogo, perché si basa su esperienze concrete che si espongono all’altrui giudizio; quasi un approccio scientifico, in cui un ricercatore spiega nel dettaglio ipotesi, metodo, esperienza e risultati della sua ricerca, sottoponendosi al vaglio della comunità scientifica.
La risposta chiarisce ancora meglio la situazione attuale: il miglioramento del patto di filiera, più complesso e meno regolamentato del contratto di filiera, ha bisogno ancora dell’apporto di quanti abbiano intenzione di parteciparvi, come anche di migliorarlo per la valorizzazione generale del territorio. Infatti, un anziano interviene nuovamente, facendo capire il proprio know how che spazia anche su conoscenze di quanto avviene all’estero e suggerisce alcune buone pratiche (es., del letame in Olanda). Insiste sulla “vera” rotazione (quinquennale, a suo dire), che esige la messa in comune anche dei terreni. Su questo spunto un altro anziano afferma che la vera agricoltura e la vera economia agricola deve tornare al passato: un terreno deve essere trattato per differenti utilizzi, anche il piccolo allevamento. Ciò che emerge è l’insegnamento secondo cui dalla diversità (dei modi, in questo caso) cresce la ricchezza (del terreno, che così non rischia la sterilità).
Un medico sottolinea il fatto che l’importanza sanitaria di un’agricoltura parte anche dalla stessa composizione del terreno. Non si spiega infatti nel Salento un tasso così alto di tumori. Mette in risalto la solidarietà tra attori economici – produttori e consumatori – affinché si facciano carico anche del problema salute in chiave agricola.
La chiusa dell’incontro è un riferimento alla sfida da parte degli attori principali della globalizzazione: le corporation vogliono appropriarsi dei mercati, dei terreni e del concetto stesso di biologico. Su questo campo argomentativo – il biologico – si gioca l’identità stessa di un territorio, che non vuole cedere agli appetiti meramente economicistici delle grandi aziende e dei mercati internazionali, a cui poco interessano i valori di comunità e di salute.
Casa delle Agriculture e Salento Km0
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Il racconto di Vito Panico
Gallery: un osservatorio partecipante
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Sintesi del progetto
Progetto Gallery: un osservatorio partecipante – avviso pubblico Puglia Partecipa – scadenza gennaio 2019 – Legge Regionale sulla partecipazione N. 28 del 13 luglio 2017.
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