27 – 28 ottobre 2019
Se segui la pagina Facebook ‘La setta dei poeti estinti’, ieri avrai visto questi versi di Girolamo Comi in un post sui consigli di lettura:
‘Motivo di poesie più che di amore
talvolta appari: ma poesia e amore
si confondono in una visione
in fondo al cuore e dentro una ragione’.
Qualcuno a Roma pensa al poeta, insomma.
Tra domenica 27 e lunedì 28 ottobre la Gallery di Coppula Tisa ha ospitato l’associazione Tina Lambrini Casa Comi, che è nata un anno fa e prende il nome dalla seconda moglie di Comi, compagna e sostenitrice del poeta. Dopo la morte di Comi Tina si è impegnata perché Palazzo Comi non venisse abbandonato all’incuria, o diventasse qualcosa che non è. È il suo lascito che l’associazione porta avanti.
Cos’è Palazzo Comi? La dimora di un poeta, certo, ma anche un centro di riferimento per la comunità di Lucugnano e i paesi intorno.
Lunedì mattina presso Celacanto Enza Zocco, dell’associazione Tina Lambrini Casa Comi, ha parlato di Palazzo Comi alla terza classe del Liceo Scientifico Stampacchia.
Mentre Simone Coluccia ha tenuto le fila dell’incontro serale con la cittadinanza dove sono intervenuti Dina Manti, Sindaca di Corigliano e delegata alla cultura della Provincia di Lecce, Gigi De Luca, direttore del Polo Bibliomediale della Regione Puglia, l’avvocato e attivista Michele Macrì, Michele Turco di Meditinere, e Stanislao De Marsanich, presidente della società che promuove i parchi letterari di Italia.
Con Simone ed Enza c’eravamo già visti domenica al pranzo di benvenuto davanti a un piatto di festa e un paio di bicchieri di vino di troppo. Di Simone in particolare colpisce la passione con cui parla di Palazzo Comi, la luce negli occhi e la ricerca delle parole che usa. Neanche fosse Cannavacciuolo che ti presenta una pastiera. Direi quasi che sembra innamorato. O forse è animato da un desiderio di giustizia, di linearità. Sospetto che non gli piaccia molto Kafka. Viso grazioso, un sorriso aperto, Simone non apprezza per niente gli intoppi della burocrazia: vorrebbe salire su Palazzo Comi, mollare gli ormeggi e puntare l’orizzonte. L’ho trovato rinfrescante.
L’incontro pubblico a Palazzo Comi ha prodotto un dibattito vivo e fertile, con molti interventi da parte dei cittadini, alcuni dei quali piuttosto ficcanti e anche molto sentiti. Ascoltando le parole di ieri si aveva la sensazione che la questione di Palazzo Comi fosse una ferita aperta che sanguina un po’. Ma perché? Io un’idea me la sono fatta.
Non è solo per il suo destino in sé, ma anche perché attraverso la battaglia per farlo rinascere passa anche la lotta per il diritto dei cittadini a decidere delle proprie vite, sia personali che comunitarie. E ci passa anche l’idea di economia e sviluppo che vogliamo seguire.
Ufficialmente la domanda sottesa all’incontro era: cosa fare di un bene comune come Palazzo Comi?
Innanzitutto: di chi sono i beni comuni? Quasi come con un ragazzino che non conosciamo, nel nostro dialetto, chiediamo ‘a ci appartieni?’, di chi sei figlio? Così con Palazzo Comi ci chiediamo ma a ci appartiene stu palazzu? Be’, non certo alle entità più o meno tangibili della provincia o della regione, o della sovrintendenza, ma in primis alla comunità, a noi tutti.
Come ha detto Gigi De Luca, è proprio la tipica logica delle istituzioni di proprietà e possesso di un bene comune che ha relegato molti beni all’inattività, alla stasi e al declino. E i cittadini alla noia e all’apatia. L‘idea che la società debba guardare un bene sempre da fuori, viverlo con parsimonia e diffidenza, come un scrigno di gioielli che è meglio non indossare, è una idea fallimentare e novecentesca. Un’idea che ci rende peggiori di come siamo, di come vorremmo essere. Triste è quel paese dove un uomo preferisce entrare in un bar e addossarsi ad una slot machine che passare il pomeriggio in un posto come Palazzo Comi. Triste è il paese le cui strade e corti sono svuotate di donne.
Ok, lo sforzo di questi ultimi mesi e anni va verso un ribaltamento di questa tendenza, per aprire i beni a una gestione partecipata e illuminata sia dei privati, o persino a una co-gestione di pubblico e privato, come nel caso del Castello di Corigliano d’Otranto.
Le vie per aprire un bene al mondo sono varie e tutte valide: visite guidate, eventi pubblici e privati, percorsi culturali in cooperazione con le imprese dell’enogastronomia locale, laboratori d’artigianato, yoga, persino musica dal vivo, fino all’affitto degli spazi alle attività imprenditoriali.
Però le vere domande di ieri, emerse quasi con una potenza sotterranea, sono altre: come facciamo ad auto-determinarci? Come facciamo a crescere? Dobbiamo rassegnarci all’asfissiante percezione d’essere terra desolata che spera nell’intervento risolutivo dall’alto?
La conosciamo tutti, ed è quella sensazione che riaffiora puntuale e che grida perché vuole attenzione, specialmente dopo che le luci degli strobi estivi si sono spente. Ci piace ignorarla, eppure lei c’è.
Per farla breve, si punta almeno all’indizione di un bando pubblico che affidi il bene a qualcuno che lo conosce bene e che ci tiene. Qualcuno con le idee chiare che sia in grado di creare sia un plus valore sociale, sia occupazione per le nuove generazioni. Già, le nuove generazioni, è per loro che bisogna agire ora, ché se c’è qualcuno a cui appartiene un bene comune sono loro. Ecco l’inter-generazionalità (è la parola giusta?): la nostra visione non può prescindere dal bisogno di pensare al futuro dei prossimi decenni.
Certo, vorremmo che l’apporto, la cura e la sapienza che l’associazione Tina Lambrini ha elargito negli ultimi anni fossero considerati. Allo stesso modo, va apprezzato il lavoro utile e quotidiano che i vicini del Palazzo hanno fatto negli anni: dalla trattoria ‘Da Iolanda’ che ha adottato e reso fruibile una parte del giardino, al ristorante Momo, ai bar, agli abitanti tutti.
E poi non c’è solo il Palazzo da salvaguardare. Anche quello che c’è dentro. Gli oltre tremila volumi di Comi sono ormai in condizioni precarie e serve recuperali quanto prima.
Scriviamo di questo incontro perché sono le persone che lo hanno cercato. È sorprendente l’energia che si crea quando gli intenti, i desideri e, perché no, i timori si incontrano.
La nostra capacità di saper vivere passa giusto dalla nostra capacità di parlare più spesso e meglio tra di noi. La Gallery di Coppula Tisa non fa che questo: mette insieme i cittadini attivi, le scuole, le istituzioni, le fa sedere in una stanza e chiede loro di guardarsi in faccia e parlare.
Alla prossima. Non fate che ci perdiamo di vista 😉
Gallery: un osservatorio partecipante – Sintesi del progetto
Partner istituzionali
Associazioni e incontri
Attività in corso
Ricerca sociologica
Progetto Gallery: un osservatorio partecipante – avviso pubblico Puglia Partecipa – scadenza gennaio 2019 – Legge Regionale sulla partecipazione N. 28 del 13 luglio 2017.
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