Consapevolezza, una chiave per interpretare le complessità del nostro tempo e provare ad agire per vivere meglio.
Nei lunghi anni di intensa attività associativa in Coppula Tisa abbiamo più e più volte parlato di ecologia e sostenibilità affrontando esplicitamente temi che coinvolgono la filiera concettuale “agricoltura ambiente alimentazione salute”. Ultimo appuntamento in ordine di tempo l’evento Cucinema off al Celacanto in occasione della Settimana della biodiversità pugliese, durante il quale alla cena preparata con le materie prime dei nostri fornitori di fiducia abbiamo abbinato il docufilm The Ground, che illustra in maniera molto chiara quali sono le problematiche legate alla produzione industriale di cibo nel nostro mondo ormai irrimediabilmente globalizzato.
Alimentazione e ambiente
Quando nel 1996 la FAO introdusse il dibattito sulla sicurezza alimentare, intesa come disponibilità di cibo sano e nutriente in quantità sufficiente per soddisfare il fabbisogno dell’intera popolazione mondiale, Via Campesina, un’organizzazione internazionale di piccoli e medi agricoltori, coniò il termine sovranità alimentare. L’intento era quello di fare da contraltare al modello neo-liberale di globalizzazione delle imprese alimentari promosso e incoraggiato dall’Organizzazione mondiale del commercio, mettendo in evidenza gli elementi che legano alimentazione, agricoltura, ecosistemi e culture, senza sottovalutare gli aspetti etici e sociali, nell’intento di valorizzare la diversità e difendere la dignità del lavoro legato alla produzione alimentare nel mondo.
A distanza di quasi trent’anni questi due approcci alla produzione delle risorse alimentari si sono evoluti e le differenze fra i due modelli ancor più radicalizzate. Inutile dire che la potenza economica nelle mani di multinazionali e grandi gruppi alimentari e non solo, rende il modello del mercato alimentare globalizzato come quello di gran lunga più disponibile al “consumo” di tutti, mentre le produzioni provenienti da approcci rispettosi dell’ambiente, delle risorse naturali, del lavoro delle persone, occupano un ruolo minoritario, se non residuale, nel novero dei consumi complessivi.
Cosa porto in tavola
Non è affatto semplice realizzare che dietro un semplice gesto quotidiano come quello di scegliere un prodotto dagli scaffali del supermercato, si celi il rischio di dare il nostro contributo inconsapevole a pratiche che comportano impoverimento dei terreni, perdita di biodiversità, sfruttamento del lavoro, ecc., senza considerare i possibili effetti negativi sulla nostra salute in quanto consumatori.
Ad esempio, ammettendo che tutto il grano nazionale sia sano e di ottima qualità, se è vero che circa la metà del grano utilizzato dall’industria della pasta e del pane in Italia viene importato dall’estero, anche da paesi come il Canada, dove è consentita l’essiccazione delle piante tramite l’utilizzo della chimica di sintesi, qual è la probabilità che sostanze potenzialmente cancerogene finiscano sulla nostra tavola a nostra insaputa?
Analogamente, quando acquistiamo una passata di pomodoro nessuno ci garantisce che dietro i pomodori finiti in quella bottiglia non ci sia il lavoro di persone vittime di caporalato.
Cosa dire, poi, dei frutti disponibili dodici messi all’anno e della loro pessima qualità, che si esaurisce miseramente nel loro aspetto di frutto integro.
Ancora, quanta acqua è stata consumata e quanti liquami sono stati prodotti e quanti ettari sono stati disboscati per portare in tavola quella succulenta bistecca?
Potremmo andare avanti all’infinito con esempi dello stesso tipo. Purtroppo, la quasi totalità del cibo che acquistiamo ha un impatto negativo sull’ambiente, si stima che circa il 30% delle emissioni globali di gas serra siano causate dall’industria alimentare. Quindi, riscaldiamo il pianeta non solo perché siamo energivori, abbiamo esigenze di mobilità e siamo spreconi, ma anche perché mangiamo male!
Coltivare una visione
Esisto un modo per acquisire piena consapevolezza di tutto ciò, basta avere la pazienza di documentarsi, di leggere attentamente le etichette sui prodotti (anche se questo a volte non basta), di non accontentarsi della prima risposta ricevuta, di approfondire. A questo scopo ci si può aprire alle esperienze informali e ad alto potenziale trasformativo che è possibile fare in luoghi che possiamo denominare “presidi di comunità”, come il nostro Celacanto, che ci consentono, strada facendo, di aggiungere tesserine al puzzle della nostra coscienza di consumatori ed ottenere un valido supporto nell’interpretazione della complessità del mondo in cui viviamo.
E proprio con l’intento di fornire questo tipo di servizio, di disseminare i concetti della sovranità alimentare, di contaminare l’opinione pubblica in maniera costruttiva che, nell’ambito delle attività di valorizzazione della nostra ex casa cantoniera, otto anni fa abbiamo avviato quello che ci piace chiamare il Mercatino solidale del Celacanto. Solidale perché con questa azione sosteniamo e promuoviamo i nostri produttori di fiducia, li chiameremo agricoltori solidali, offrendo loro un luogo in cui possono creare relazioni dirette con i consumatori. E ottenendo in cambio da loro la possibilità di perseguire questa nostra visione che coniuga la cura del territorio e la sua bellezza col mantenimento in vita di pratiche agronomiche ecologicamente sostenibili, la possibilità di approvvigionarci di cibo sano, di creare una piccola rete di economia solidale in grado di autosostenersi e di dare nuova dignità al lavoro nei campi.
In questi otto anni il Mercatino ci ha fatto incontrare tantissime persone, è stata per noi un’incredibile palestra di autoformazione. Nel corso del tempo la formula si è andata arricchendo sempre più di elementi e servizi, abbiamo ricevuto tanti riscontri positivi che ci hanno incoraggiato e tuttora ci incoraggiano a riproporlo nonostante il notevole sforzo organizzativo richiesto. Tutto molto bello! Anche osservare come la pratica del mercatino abbinato a degustazioni e momenti di approfondimento sui temi dell’alimentazione consapevole e dell’ambiente in genere si è diffusa molto rapidamente sul territorio e, soprattutto negli ultimi anni, sta registrando un livello di gradimento sempre crescente da parte dell’opinione pubblica.
Se i sogni diventano realtà…
Tuttavia, se alziamo lo sguardo verso l’orizzonte ci accorgiamo che la strada da percorrere è ancora molto lunga. In primis si registra una scarsa disponibilità di prodotto in termini di quantità, poiché i pochi agricoltori solidali oggi in attività da soli non sono materialmente in grado di andare oltre una determinata soglia di produzione. Se domani tutti smettessimo di acquistare ortaggi e prodotti alimentari convenzionali rivolgendoci agli agricoltori solidali le quantità di prodotto disponibili presso di loro non sarebbero sufficienti a soddisfare pienamente la domanda. Ciò impone la necessità di incoraggiare il mestiere dell’agricoltore solidale presso le nuove generazioni. Di innovare la concezione tradizionale di contadino, restituendo riconoscimento a chi vorrà intraprendere questa strada, attraverso l’inclusione in una comunità più ampia fatta di produttori, consumatori e animatori culturali. Una comunità all’interno della quale gli agricoltori di domani potranno pienamente realizzare la propria persona in ragione della funzione e della dignità del proprio ruolo.
Da questo punto di vista il nostro è un territorio virtuoso, nel corso degli anni sono sorti numerosi centri di animazione culturale che condividono la stessa visione e perseguono obiettivi analoghi. Questo processo è ancora in corso, verosimilmente nei prossimi anni assisteremo alla nascita di nuovi presidi territoriali che, se opportunamente interconnessi tra loro, potrebbero diventare i nodi di un sistema unico di promozione e moltiplicazione dei principi della sovranità e consapevolezza alimentare e della sostenibilità totale. Un processo generativo sullo sfondo un più ampio progetto di innovazione sociale e di sviluppo territoriale, in grado di supportare concretamente anche la crescita di altri settori economici, essendone presupposto essenziale, come quello del turismo lento e responsabile, che già oggi vive una stagione di interessante espansione in tutto il Salento. Ma per attivare e governare un processo di questo tipo dovremo necessariamente fare i conti con la nostra capacità di cooperare e metterci in rete, e questa, lo sappiamo bene, non è la nostra migliore virtù. Credo che questa sia la sfida più grande che attende la nostra comunità nel futuro prossimo e, in qualità di facilitatori e protagonisti di un processo identitario di questa natura, dobbiamo fare di tutto per farci trovare pronti. Conoscere è il presupposto imprescindibile per agire in maniera consapevole, aprirsi all’altro e alla relazione costruttiva e circolare è l’unico modo per riconoscersi a vicenda, per fare massa critica.
In conclusione, tutto ciò potrebbe sembrare un capitolo del libro dei sogni, ma se avremo la capacità di individuare una strategia operativa efficace e di stabilire un tempo in cui metterla in pratica, allora questo sogno potrà diventare proprio il nostro prossimo progetto di comunità da realizzare insieme.
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